Riferimenti teorici


Dalle parti al tutto

"Tutte le cose sono legate: questo sappiamo.
Qualsiasi cosa succeda alla Terra succede ai figli della Terra".
[Capo indiano Seattle]

L’idea che la realtà che ci circonda sia un sistema di processi interconnessi, di cui l’uomo è parte integrante si ritrova sin dai tempi antichi. Oggi anche la scienza sta cominciando ad applicare questo pensiero, detto sistemico, in ambiti disciplinari diversi come la biologia, la fisica, la medicina, la psicologia, la sociologia, la pedagogia ecc.
In sintesi il pensiero sistemico ci dice che non è possibile comprendere isolatamente i fenomeni e quindi risolvere eventuali problemi. Questo proprio perché “il mondo è tutto attaccato” ed è un’illusione l’idea di poterlo separare nelle sue componenti (es. aria, suolo, acqua, piante, animali, società, infrastrutture, servizi ecc.), per comprenderne totalmente il funzionamento, senza considerare l’influenza reciproca tra di esse. Quindi, il pianeta, gli ecosistemi, le società, sono considerate dei sistemi, ovvero delle reti che si mantengono in vita grazie all’interazione tra tutte le parti in gioco le quali si influenzano reciprocamente attraverso meccanismi di retroazione o feed-back. Le caratteristiche del sistema non sono ritrovabili nelle singole componenti, ma sono proprietà emergenti dal sistema nel suo insieme. Questo significa anche che se proviamo a risolvere un problema analizzando solo una componente del fenomeno non saremo mai in grado di trovare soluzioni efficaci. Allo stesso modo una soluzione puntuale difficilmente risolverà problemi complessi e interconnessi.
In particolare i sistemi viventi sono stati definiti (Capra F., 2002) sistemi caratterizzati da un’organizzazione a rete capace di autogenerazione, da una struttura dissipativa (ovvero i sistemi viventi si mantengono lontano dallo stato di equilibrio e per questo sono dinamici) e da un processo cognitivo (ovvero la vita per esistere e autogenerarsi, a tutti i livelli di complessità, ‘apprende dall’esperienza’ – Teoria di Santiago di Maturana H.R. e Varela F.J.).

Il Progetto Reti EcoLogiche (PREL), considera il territorio un sistema vivente e quindi costituito da una rete di relazioni tra fattori naturali e fattori umani (sociali, culturali ed economici): reti ecosistemiche e reti sociali.

Il PREL propone di applicare l’approccio sistemico alla gestione del territorio, con lo specifico obiettivo di realizzare reti ecologiche, individuate come strumento per uno sviluppo ecosostenibile. La rete ecologica, infatti, è concepita come la materializzazione fisica di un’integrazione collaborativa tra reti sociali e reti ecosistemiche. Il PREL ha individuato nella settorialità e frammentazione delle competenze e delle informazioni tra i gestori/abitanti del territorio, il principale ostacolo alla realizzazione della rete ecologica. Per questo il Progetto investe, allo stesso modo, nell’analisi tecnica e scientifica per la realizzazione di interventi di riqualificazione ambientale e nella creazione di una rete di relazioni-azioni, che chiameremo “econessi” che agiscono, secondo la logica dei sistemi viventi, in modo cooperativo e sinergico.
La proprietà cognitiva del territorio, in quanto sistema vivente, significa che è possibile, a questo scopo, innestare un processo di ‘apprendimento’ che sviluppi la capacità del territorio stesso di mantenersi e autogenerarsi.
L’ecocompatibilità è ovviamente la premessa imprescindibile se si desidera che un territorio si mantenga vitale sia sotto l’aspetto ecologico che socio-economico e culturale. Per questo l’ecoLogica, ovvero la logica dei principi che stanno alla base della vita sul Pianeta, deve riguardare sia i processi ecologici che le relazioni sociali.

Scarica approfondimento

Per saperne di più

Bateson G., 1972. Verso un'ecologia della mente. Adelphi, Milano, 1976.
Bateson G.,1979. Mente e natura. Adelphi, Milano, 1984.
Bertalanffy L. von, 1956. Teoria generale dei sistemi. Isedi, Milano, 1971.
Capra F., 2002. La scienza della vita. Ed. Rizzoli, Milano.
Capra F., 1996. La rete della vita. Ed. Rizzoli, Milano, 1997.
Maturana H.R. e Varela F.J.,1980. Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente. Ed. Marsilio, Venezia, 1985.

Torna su


Che cos'è una rete ecologica

Il concetto di rete ecologica rientra nell’ambito delle strategie di conservazione della biodiversità e integra l’approccio della tutela di zone ad alto valore naturalistico, previsto dall’istituzione di aree protette, introducendo il concetto di connessione nella gestione delle risorse naturali di un territorio. La frammentazione delle aree naturali, infatti, è riconosciuta come una delle principali cause di perdita di biodiverstà e lo sfruttamento del territorio per le attività produttive e i servizi sta isolando sempre più "frammenti di natura" , spesso coincidenti con aree protette, che non possono più garantire la sopravvivenza delle comunità animali e vegetali che ospitano. In questo modo vengono minacciati i processi ecologici necessari per la salute del territorio e di tutti i suoi abitanti, uomo compreso.

Visualizza l'immagine esemplificativa.

La rete ecologica viene definita come un sistema interconnesso di habitat, di cui salvaguardare la biodiversità e si basa sulla creazione o il ripristino di "elementi di collegamento" tra aree di elevato valore naturalistico. In questo modo si forma una rete diffusa ed interconnessa di elementi naturali e/o seminaturali. Le aree ad elevato contenuto naturalistico hanno il ruolo di "serbatoi di biodiversità", mentre gli elementi lineari permettono un collegamento fisico tra gli habitat e costituiscono essi stessi habitat disponibili per la fauna, contrastando la frammentazione e i suoi effetti negativi sulla biodiversità.
Gli elementi che formano una rete ecologica sono definiti dall’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici) come segue:

La realizzazione di reti ecologiche presenta molteplici vantaggi che partendo da obiettivi di sostenibilità ambientale si ripercuoto positivamente anche sulle attività umane:

Scarica approfondimento

Per saperne di più

Torna su


Che cos'è la biodiversità

La biodiversità viene definita come "La variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; includendo perciò le diversità nell’ambito delle specie e tra le specie di ecosistemi" (Convenzione sulla Diversità Biologica, Rio de Janeiro 1992). L’insieme di tutti gli organismi viventi che, nell’arco di quasi 4 miliardi di anni, si sono succeduti sul nostro Pianeta, ha reso possibile la vita come oggi la conosciamo. E ancora oggi, servizi fondamentali alla sopravvivenza, come la miscela di gas che respiriamo, il ciclo e la depurazione delle acque, la fertilità dei suoli ecc., sono "forniti" dalla complessa rete di relazioni e di processi fisici, chimici e biologici che lega tutti gli organismi viventi, uomo incluso. Conservare la biodiversità, non è quindi un’opzione dettata dall’eventuale sensibilità alla bellezza della natura o al suo valore economico, ma un’urgente necessità per la sopravvivenza. L’estinzione di specie e habitat, infatti, significa far scomparire gli ingranaggi necessari al mantenimento e all’evoluzione della vita.

La diversità biologica si individua su tre principali livelli gerarchici:

L'utilità della biodiversità

Un ambiente, è tanto meno a rischio nei confronti di fattori di perturbazione (es. inquinamento, cambiamenti climatici, siccità ecc.) quanto più è diversificato e, viceversa, un ambiente povero di diversità è più vulnerabile e rischia il collasso qualora intervengano cambiamenti che direttamente mettono in crisi le poche entità genetiche presenti. Per questo un territorio ricco di specie animali e vegetali è generalmente considerato sano.
La biodiversità è, inoltre, una risorsa insostituibile per moltissime attività umane l’uomo.

  • La miriade di microrganismi che vivono nel terreno (pedofauna), con la loro azione (respirazione, escrezione, decomposizione ecc.) contribuiscono alla formazione del terreno stesso che acquista così la sua fertilità e capacità di nutrire colture e foreste. Gli stessi organismi decomponendo la sostanza organica nel suolo rendono disponibili i nutrienti naturali per le piante.
  • Gli insetti impollinatori e gli uccelli contribuiscono alla diffusione delle specie vegetali.
  • Scopi alimentari: l’uomo ha utilizzato fino ad ora solo 3.000 delle 75.000 specie potenzialmente commestibili che, a loro volta rappresentano circa ¼ delle piante conosciute.
  • Scopi farmaceutici: nonostante i progressi della farmaceutica sono ancora numerosi i rimedi della medicina tradizionale fondati sui principi attivi del mondo vegetale.
  • Scopi industriali: numerosi sono gli usi che l’industria fa delle specie. Basti pensare al legno alla gomma, ai cosmetici, agli olii vegetali ecc.
  • Scopi turistico-ricreativi: sempre maggiori sono le offerte turistiche che e per il tempo libero che esaltano la bellezza naturalistica dei luoghi e elogiano l’importanza di stare in un ambiente sano.

Le leggi per la biodiversità

L’importanza della tutela della biodiversità è sancita da convenzioni e leggi internazionali che chiamano in causa la responsabilità e l’impegno di tutti i Paesi per la tutela di questa risorsa. In particolare le strategie di conservazione della natura hanno subito nel tempo un’evoluzione che ha portato ad definire diverse modalità di tutela:

  • tutela diretta delle singole specie
  • tutela degli habitat necessari alla loro sopravvivenza
  • gestione integrata del territorio che consenta il mantenimento di spazi naturali e semi-naturali collegati tra loro (Reti Ecologiche) per garantire nel lungo termine il mantenimento dei processi ecologici (riproduzione, nutrizione, ripopolamento ecc.) per la conservazione delle specie selvatiche e del loro patrimonio genetico.
Un quadro della legislazione in materia è riportato ai siti:
Ministero dell'ambiente
Ispra Ambiente

La Convenzione di Berna (1979) riconosce gli habitat naturali, la flora e la fauna selvatiche come un patrimonio naturale che va preservato e trasmesso alle generazioni future. I Paesi che aderiscono alla convenzione (tra cui l’Italia) si impegnano a tutelare (ovvero vieta qualsiasi forma di cattura, detenzione, di uccisione, il deterioramento e la distruzione, la raccolta di uova, la detenzione ed il commercio) tutte le specie elencate nella convenzione, presenti sul proprio territorio e ad individuare zone protette per la conservazione delle specie migratrici.
Visualizza documento

La Convenzione di Bonn (1979) richiede ai Paesi firmatari di impegnarsi nella protezione e salvaguardia di tutte le specie migratrici (in particolare di quelle minacciate di estinzione), del loro ambiente naturale e di impegnarsi a promuovere, sostenere o collaborare a ricerche sulle specie migratrici.
Visualizza documento

La Convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro (1992) riconosce a livello internazionale la grave situazione rispetto alla rapida perdita di diversità biologica e definisce le strategie per affrontare il problema. Queste si basano su principi quali la cooperazione tra i Paesi firmatari (tra cui l’Italia), il principio precauzionale, la promozione della ricerca scientifica e la divulgazione delle conoscenze, l’uso durevole delle risorse per uno sviluppo sostenibile.
Visualizza documento

La Direttiva Habitat (1992) è una direttiva europea che individua un elenco di ambienti naturali e di specie a rischio di estinzione e ne richiede la tutela come Siti di Importanza Comunitaria (SIC). La conservazione degli habitat e quindi delle specie si vuole ottenere attraverso la realizzazione di della Rete Ecologica Europea "Natura 2000" che dovrebbe connettere tra loro le aree protette attraverso corridoi ecologici.
Visualizza documento

La Direttiva Uccelli (1979) è una direttiva europea che individua l’elenco di tutte le specie di uccelli selvatici che vivono nel territorio degli Stati membri per le quali sono necessarie politiche di conservazione. Essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie e ne disciplina lo sfruttamento. La direttiva si applica agli uccelli, alle uova, ai nidi e agli habitat.
Visualizza documento 1979
Visualizza documento 2009

Torna su


Che cos'è la frammentazione

Frammentare significa spezzare, interrompere ciò che è continuo. In questo caso la frammentazione si riferisce agli ambienti naturali, la cui continuità sul territorio è stata interrotta da elementi o ambienti legati alle attività dell’uomo. In questo modo è diminuita la superficie degli ambienti naturali ed è aumentato il loro isolamento con serie conseguenze per il mantenimento dei processi ecologici sostenuti dalla rete ecosistemica naturale.

Il processo di frammentazione e il conseguente isolamento degli ambienti naturali influenzano la fauna, la vegetazione e le condizioni ecologiche degli ambienti stessi, distruggendo e riducendo le popolazioni biologiche presenti. Queste osservazioni si basano sulla così detta "teoria biogeografica delle isole" (Mc Arthur R. H. e Wilson E.O., 1967), secondo cui il numero di specie che un’isola (che può essere anche un’isola di bosco in un territorio agricolo) può ospitare, dipende dal rapporto tra estinzioni locali, emigrazioni e immigrazioni di individui provenienti dall’esterno. Più piccola e isolata è l’area naturale e minore sarà il tasso di colonizzazione, con il conseguente aumento relativo delle estinzioni. La superficie totale di habitat naturale e la sua distribuzione sul territorio (oltre che la sua qualità ambientale), influiscono quindi direttamente sulla conservazione delle specie presenti, quindi sulla conservazione della biodiversità.

Le cause principali del processo di frammentazione degli ambienti naturali sono da attribuire alla crescita urbana, all'organizzazione territoriale delle reti infrastrutturali legate ai trasporti e ai servizi e all’agricoltura intensiva. Una diversa pianificazione e gestione di questi tre ambiti, che veda l’implementazione di elementi naturali o seminaturali interconnessi e l’arresto di processi di consumo di suolo, può essere un valido sostegno alla conservazione della biodiversità e quindi alla salute del territorio.

Un altro tipo di frammentazione riguarda aspetti culturali che hanno ricadute sull’efficienza di una gestione territoriale. Si tratta della frammentazione dei saperi, delle competenze e della comunicazione. Così come la biodiversità diminuisce a causa della frammentazione fisica di habitat naturali, la capacità di azione è rallentata da una tendenza a creare "isole culturali" che non permettono la messa in rete di esperienze.
Questa, invece è la condizione necessaria per rendere il sistema territorio capace di evolversi con creatività e dinamicità verso l’ecosostenibilità.

Torna su


Che cos'è lo sviluppo ecosostenibile

Il concetto di sviluppo sostenibile, o meglio ecosostenibile, è molto dibattuto e interpretato in modi diversi a seconda dei contesti. Facendo riferimento alle convenzioni e dichiarazioni che ne hanno definito i principi generali emerge la necessità generale di mettere un limite allo sviluppo delle attività umane, modificandone radicalmente l’approccio. Questo limite è dato dalla capacità del sistema Terra di riciclare e ricreare gli elementi necessari alla vita (suolo, acqua, aria), gravemente alterati da uno sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali da parte dell’uomo. Lo sviluppo ecosostenibile riguarda quindi un nuovo modo di vivere su questo pianeta e una nuova concezione del termine “sviluppo” tradizionalmente associato alla quantità di beni materiali: più spazio, più soldi, più auto, più case ecc. Questo eccesso a lungo andare non solo non sarà materialmente praticabile per mancanza di risorse, ma non porterà al benessere sognato. Molte sono le esperienze che stanno dimostrando come applicando principi di essenzialità, riciclo, integrazione, cooperazione (tipici dei sistemi viventi) sia possibile sviluppare sistemi vitali per le persone e per l’ambiente.

La Dichiarazione di Stoccolma delle Nazioni Unite sull’ambiente (1972). E' considerata una delle tappe fondamentali del pensiero su sviluppo e ambiente globale, ha determinato la presa di coscienza dei problemi ambientali a livello internazionale. I Principi stabiliti: la libertà, l’uguaglianza e il diritto ad adeguare condizioni di vita le risorse naturali devono essere protette, preservate, opportunamente razionalizzate per il beneficio delle generazioni future la conservazione della natura deve avere un ruolo importante all’interno dei processi legislativi ed economici degli Stati.
Visualizza documento

Il Rapporto della Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (1987), "Il nostro futuro comune", è noto come rapporto Brundtland e definisce per la prima volta lo sviluppo sostenibile come: "lo sviluppo che deve rispondere alle necessità del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie".

Il Summit della Terra a Rio de Janeiro (1992) definisce cinque Convenzioni Globali prive di obblighi giuridici: 1. La Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo, definisce in 27 punti diritti e responsabilità delle nazioni nei riguardi dello sviluppo sostenibile. 2. L’ Agenda 21, di applicazione della Dichiarazione di Rio, pone lo sviluppo sostenibile come una prospettiva da perseguire per tutti i popoli del mondo. 3. La Dichiarazione dei principi sulle foreste, sancisce il diritto degli Stati di utilizzare le foreste secondo le proprie necessità, senza ledere i principi di conservazione e sviluppo delle stesse. 4. La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici pone obblighi di carattere generale miranti a contenere e stabilizzare la produzione di gas che contribuiscono all’effetto serra. 5. La Convenzione sulla diversità biologica, con l’obiettivo di tutelare le specie nei loro habitat naturali e riabilitare quelle in via di estinzione.
Visualizza documento

La Carta di Aalborg "Carte delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile" (1994) elabora il concetto di sostenibilità e individua le responsabilità ambientali delle città, impegnandole a sviluppare politiche ed azioni positive per andare verso città sostenibili, grazie alla partecipazione di tutti i cittadini.
Visualizza documento

Con la Conferenza di Lisbona "Dalla Carta all’azione" (1996) le città si impegnano ad attuare l’Agenda 21 a livello locale, riconoscendo le proprie responsabilità nella regolamentazione della vita sociale.
Visualizza documento

La Carta della Terra (2000) è un trattato dei popoli del mondo contenente i fondamenti dell’etica del rispetto per tutta la comunità della vita e cerca di identificare obiettivi comuni e valori condivisi che trascendano i confini culturali, religiosi e nazionali.
Visualizza documento

La Dichiarazione di Johannesburg per lo sviluppo sostenibile (2002) è il documento emerso al summit di Johannesburg del 2002, in cui si rinnovano gli obiettivi di Rio di dieci anni prima puntando su una maggiore equità globale.
Visualizza documento

Per saperne di più

Torna su